Mario Monti fra dire e fare: editorialista al Corriere della Sera, primo ministro del governo tecnico
Che ne è del Mario Monti, studente bocconiano, professore della Bocconi, rettore della Bocconi ed oggi senatore a vita e Presidente del Consiglio? Che ne è e cosa ha fatto, in fin dei conti, il Governo Monti? Margaret Thatcher e Ronald Reagan, due grandi leader liberali, non erano certo degli intellettuali, ma avevano un grande rispetto per le idee e i valori (Tutto qua diceva Margaret Thatcher. Bisogna partire con dei principi. Sì, sempre con dei principi). È vero anche per il Governo dei professori? Ha riformato le pensioni ma a costo di un colossale pasticcio sugli esodati di cui non credo si sappia ancora bene nemmeno quanti sono. È evidente e paradigmatico, sul merito del provvedimento pomposamente denominato Salva Italia, il discredito che deriva dai seriosi annunci di voler eliminare le province per ridurre la spesa pubblica. Se ne parlava da anni e tutti si erano unanimemente dichiarati d’accordo. Persino la Banca Centrale Europea suggeriva di stornare una spesa che si giudicava inutile. Le eliminiamo tutte? No, solo alcune. Forse, ma non la mia. E se approfondissimo il tema? E se congelassimo la riforma per un anno? Quest’ultimo annuncio fatto dal Governo (Il Sole/24 Ore, 15 dicembre 2012) è una bella prova di decisionismo. Il salvataggio dell’Italia può aspettare. Se la casa brucia che il vigile del fuoco ripassi per favore nel pomeriggio perché stamani ho altro da fare. Detto e fatto. Per il riordino delle Province delle Regioni a statuto speciale vedremo in futuro – ha dichiarato il ministro Filippo Patroni Griffi – visto che la legge sulla spending review concede a questi enti 6 mesi in più di tempo (Il Sole/24 Ore, 31 ottobre 2012). Di fronte al referendum cosiddetto anticasta (i cittadini sono immancabilmente più saggi dei politici), che si è tenuto il 6 maggio nell’isola per riportare a 4 le province della Regione Sardegna, si è aperta al tribunale civile di Cagliari l’udienza di merito sul ricorso presentato dall’UPS, l’Unione delle province sarde, che ne chiede l’annullamento. La notizia è fornita dall’autorevole Il Sole/24 Ore, 9 novembre 2012. È una pazzia. Tanto per fare un confronto, in Sardegna per 1.675.173 abitanti c’erano ben 8 province (di cui la metà era stata istituita nel 2001 ed era divenuta operativa nel 2005), con una media di 209.397 abitanti per provincia. Cagliari, che della Sardegna è la maggiore città ed è capoluogo sia di provincia che di regione, vanta 156.033 abitanti. Il Comune di Milano ha 1.350.267 abitanti, 8,65 volte di più. Gli abitanti di Lanusei, con Tortolì (10.937 abitanti) uno dei due capoluoghi dell’Ogliastra (tutte le nuove province sarde hanno due capoluoghi: Carbonia [29.749 abitanti] e Iglesias [27.445 abitanti], Olbia [57.041 abitanti] e Tempio Pausania [14.289 abitanti], Villacidro [14.461 abitanti] e Sanluri [8.519 abitanti] per cui, malignamente, si potrebbe forse concludere che il fatto di avere tante capitali serva soprattutto ad accontentare più gente), sono 5.675, cioè 237,93 volte meno di Milano. L’intera superficie della Sardegna è di 24.090kmq. con una densità di 69,54 abitanti/kmq. Il Comune di Milano occupa 181,76kmq. per una densità di 7.428,85 abitanti/kmq. Patroni Griffi ha dichiarato: Il ripensamento delle forze politiche sta nel gioco parlamentare. Anche in Gran Bretagna, sono quasi sicuro d’averlo letto da qualche parte, dovrebbero esistere la democrazia ed il gioco parlamentare. Eppure Margaret Thatcher, ritenendole inutili, eliminò tutte le 45 Contee metropolitane britanniche nel 1985 in un colpo solo. Al di sopra della difesa d’ufficio del Ministro, il fatto obiettivo è che né il Parlamento né il governo sono riusciti a portare avanti le riforme fra cui il progetto della spending review. I tanto declamati tecnici non hanno ridotto le spese, non hanno riformato la burocrazia che resta una pesante palla al piede per l’economia e fa continuamente aumentare il debito pubblico italiano. La politica economica del Governo Monti è solo tasse. Memore dell’insegnamento di Maffeo Pantaleoni, illustre economista al quale in Bocconi è intitolato un Istituto e che il bocconiano Monti ama spesso ricordare: Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse. L’abilità consiste nel ridurre le spese, dando nondimeno servizi efficienti, corrispondenti all’importo delle tasse; fissare le tasse in modo che non ostacolino la produzione e il commercio o per lo meno che lo danneggino il meno possibile. Scrive testualmente Renato Brunetta (Il Giornale, 24 dicembre 2012): Non un indicatore socio-economico, in questi 13 mesi, ha mostrato segno positivo. Il Pil è in picchiata a – 2,5%, la pressione fiscale è aumentata di quasi 3 punti, i disoccupati di un milione di unità, il potere d’acquisto delle famiglie è crollato (- 4,1%), così come la produzione industriale (- 6,2%), le compravendite immobiliari (- 23,6%) e il mercato dell’auto (- 18%). Il debito pubblico è aumentato, sia in valore assoluto (+ 82,7 miliardi), sia in rapporto al Pil (+ 4,4%), mentre il servizio del debito non è affatto diminuito rispetto al 2011. Il famigerato spread si è ridotto ma il merito, pur impiegando la massima buona volontà, non può attribuirsi al prof. Mario Monti ma ai mille miliardi di finanziamento a tasso agevolato alle imprese di Mario Draghi e al suo messaggio di fare tutto quanto sarà necessario per salvare l’euro. Prosegue Renato Brunetta: era meglio non far nulla sul mercato del lavoro, la cui riforma sta facendo schizzare ai livelli più alti in Europa la disoccupazione giovanile, a causa del mancato rinnovo dei contratti a termine. Avevamo bisogno di più flessibilità nell’assumere, abbiamo prodotto solo un blocco. E a pagare sono stati, e saranno, i giovani. Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sullo stesso argomento avevano già sentenziato: La riforma del mercato del lavoro, così come concepita originariamente, andava nella direzione giusta. Ma ha perso efficacia prima ancora di approdare in Parlamento (Corriere della Sera, 11 aprile 2012). Si era a più riprese ripetuto come il nostro Paese, grazie al generale apprezzamento del prof. Mario Monti, avesse ritrovato stima, credibilità e considerazione nel mondo. L’affermazione è più squisitamente enfatica che oggettivamente vera. Basti pensare al disinteresse totale che l’Europa ha mostrato per gli sbarchi di extracomunitari che sono ripresi copiosi nell’Italia del sud e che sarebbero un problema esclusivamente nostro ed alla questione dei marò con l’India che non pensa proprio di avere un minimo di rispetto per il nostro Paese: attira con l’inganno in acque indiane una nave italiana, viola la nostra sovranità compiendo un blitz armato a bordo, imprigiona due soldati italiani contravvenendo a norme e convenzioni a regolare i rapporti internazionali.
Il prof. Mario Monti, attenendosi ai parametri di Maastricht, si è impegnato a ridurre il debito che, nel rattempo, ha continuato imperterrito la sua crescita (ad ottobre 2012 è pari a 2.014 miliardi di euro, + 1,06% rispetto a fine 2011, fonte: Vikipedia) sino a che il rapporto debito/PIL non raggiunga il 60%. Oggi noi siamo nell’intorno del 5% di deficit annuale ma il dato non dovrebbe superare il 3% del PIL (a fine 2011 pari a 1.580 miliardi di euro) e ben oltre il 120 per il secondo parametro. Fissato (in miliardi di euro) al 60% il rapporto desiderato (1.580 x 0,60 = 948), è implicita la sperata riduzione (2.014 – 948 = 1.066) che, a sua volta, richiede 10 anni e mezzo per concludersi. Il tutto all’imprescindibile condizione che il PIL non si riduca ma rimanga almeno stabile. Meglio, ovviamente, se crescesse. La crescita, però, dov’è? Non pervenuta. Le riforme? Scomparse. Eppure il prof. Mario Monti, editorialista del Corriere della Sera e ciò fino a poco tempo prima di divenire primo ministro, non mancava mai di sottolineare la vitale importanza della crescita e delle riforme. Gli attacchi speculativi … si dirigono contro i titoli di Stato di quei Paesi … che sono gravati da alto debito pubblico e che hanno seri problemi per quanto riguarda il controllo del disavanzo pubblico o l’incapacità di crescere (e di rendere così sostenibile la loro finanza pubblica) perché non hanno fatto le necessarie riforme strutturali (30 ottobre 2011). In Europa e negli Stati Uniti … si nutre grande preoccupazione per un’Italia che, in mancanza di crescita economica e di riforme vere nel settore pubblico e nei mercati, potrebbe essere vittima (non innocente) di forti attacchi nei mercati finanziari (16 ottobre 2011). Crescita ed equità. Come molti osservatori hanno notato, è ora su questi due grandi problemi, trascurati nei primi tre anni della legislatura, che l’azione del governo, delle opposizioni e delle parti sociali dovrà concentrarsi, con un comune impegno come auspica il Presidente Napolitano (14 agosto 2011). Si è capito che una crescita insufficiente, oltre a creare evidenti problemi economici e sociali, è spesso una delle cause più rilevanti degli stessi squilibri finanziari … Due elementi a favore della crescita … una delle poche leve concrete … per stimolare la competitività, la crescita e l’occupazione è lo sviluppo del mercato unico; coordinamento della fiscalità, con l’impostazione pragmatica – e non antagonistica rispetto al desiderio degli Stati membri di conservare la sovranità fiscale (che essi, con qualche illusione, pensano di detenere tuttora) … l’Italia ha bisogno di aumentare la propria crescita più degli altri Paesi, sia perché da molti anni cresce meno, sia perché solo attraverso una maggiore crescita sarà possibile conseguire il plus di disciplina finanziaria che ci viene richiesto, senza che il Paese sprofondi in un ulteriore differenziale negativo di crescita (28 marzo 2011). Quale è in effetti la situazione? Delle compravendite di immobili si è già detto. Per i finanziamenti destinati all’acquisto di immobili nel primo semestre, aggiunge l’ISTAT, il calo è del 40,3% su base annua. Le banche, d’altronde, hanno aumentato i crediti in sofferenza del 15,3% su base annua. L’economia italiana è bloccata dalla recessione a causa della cura da cavallo, quasi esclusivamente a base di tasse. Puntualmente, il contrario del comportamento di Ronald Reagan che abbassò l’aliquota marginale massima dal 70% al 28% compensando l’operazione con un allargamento della base imponibile e con il taglio di parecchie agevolazioni e della politica seguita da Margaret Thatcher che ridusse l’aliquota massima sulle persone fisiche – che raggiungeva l’83% – al 40% facendo passare quella minima dal 33 al 23%. La tassazione del reddito delle società di capitali dal 1980 al 1996 è scesa dal 52 al 33%. La somma delle imposte dirette e dei contributi sociali ammonta al 50% delle entrate, da noi al 66%. Su 100 lire di retribuzione lorda in Italia se ne devono aggiungere 45 per oneri sociali, in Inghilterra i social security taxes solo 18. In quegli stessi anni, gli operai impararono che voler comprare una casa non è un’infamia, ma piuttosto una scelta di dignità e buon senso. E gli inglesi impararono che aver battuto i nazisti per poi farsi sconfiggere dai sindacati non solo era folle, era ridicolo (Cristina Missiroli, Ideazione, luglio-agosto 2006). Per non perdersi alcuna occasione, il prof. Mario Monti, discepolo dell’economista neo keynesiano James Tobin, a sua volta seguace di John Maynard KeynesJohn Maynard Keynes, primo barone Keynes di Tilton (Cambridg... Leggi che per primo, pur speculando felicemente a Wall Street, l’aveva pensata, ha introdotto, anzi, ha addirittura anticipato di un anno, più zelante degli altri soci europei, l’introduzione della c.d. Tobin tax sulle transazioni finanziarie, una delle tante manie keynesiane destinata a lasciare in retaggio all’umanità evidenti danni. Una tassa pericolosa nel pensiero dell’attuale ministro delle Finanze svedese Anders Borg, membro del partito moderato svedese, che ha ricordato come la Svezia avesse sperimentato negli anni ’80 l’imposta e l’avesse eliminata dopo una decina di anni perché era riuscita a rovinare il suo mercato finanziario. Definito nel 2011 dal Financial Times il miglior ministro delle finanze dell’Europa, pur provenendo dal mondo bancario, ha avuto il coraggio di sostenere la necessità di rafforzare le banche ma senza mancare di rivolgere pesanti critiche alle agevolazioni concesse dai politici alle banche. Fra il dire e il fare, dice il proverbio, c’è di mezzo il mare e così la mitica crescita in Italia continuerà a mancare ed è praticamente certo che sarà un obiettivo del tutto trascurato quello di ridurre il rapporto debito/PIL, atteso che il denominatore, il PIL appunto, si ridurrà e non salirà. L’aumento del debito è una sciagura ma ha probabilmente fatto felice Paolo Ferrero, già Ministro della Solidarietà Sociale nel governo Prodi II, attualmente segretario del partito della Rifondazione Comunista, che nel suo blog (11 agosto 2011) circa il ventilato suggerimento avanzato da più parti di inserire nel testo costituzionale il vincolo di pareggio di bilancio incredibilmente ma testualmente afferma: negare la possibilità di una spesa in deficit significa negare la possibilità di uscire dalla crisi e da una disoccupazione a due cifre manifestando un convincimento esattamente agli antipodi del buon senso. D’altra parte, Paolo Ferrero, coerentemente, si era nella stessa occasione lamentato del fatto che persino il Partito Democratico avesse abolito dal suo album di famiglia economisti come KeynesJohn Maynard Keynes, primo barone Keynes di Tilton (Cambridg... Leggi. Il thacherismo, all’esatto contrario, si fondava sul rifiuto delle teorie di KeynesJohn Maynard Keynes, primo barone Keynes di Tilton (Cambridg... Leggi, sul contenimento dello Stato sociale e della spesa pubblica, su un minore intervento statale diretto in economia, su un’azione concertata per ridurre la pressione fiscale e il deficit di bilancio. Parola di Margaret Thatcher: non si può spendere più di quel che guadagni … si deve mettere via per i giorni di pioggia … Vivere al di là dei propri mezzi porta alla dipendenza invece che all’indipendenza, e la dipendenza conduce al degrado (Charles Moore: What Would The Iron Lady Do?, Wall Street Journal, 17 dicembre 2011). Come dire, la valutazione proposta da Paolo Ferrero al contrario. Un’ennesima buona ragione per sconfessare l’utilità delle teorie di John Maynard KeynesJohn Maynard Keynes, primo barone Keynes di Tilton (Cambridg... Leggi. Pensare che sia con la spesa pubblica (come suggeriva ieri il Financial Times) che si riprende a crescere è un errore grave. Il governo deve fare l’esatto contrario. Dare a consumatori e imprenditori un messaggio chiaro: le tasse non aumenteranno perché le spese scendono. Senza queste certezze, consumi e investimenti continueranno a rallentare (così Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera dell’11 aprile 2012).
Ci sarebbe un terzo disvalore da commentare per completare il discorso: la giustizia che non riesce a contribuire al miglior progresso del Paese. Asseriva al proposito Sergio Romano sul Corriere della Sera già nel lontano 14 novembre 2009: Se fosse possibile scegliere tra la riforma della giustizia e una delle tante riforme di cui il Paese ha bisogno (pensioni, sistema fiscale, educazione, funzione pubblica) non avrei alcun dubbio. Sceglierei senza esitare la riforma della giustizia. Le cause civili sono interminabili e la durata dei procedimenti sta procurando danni irreparabili, tra l’altro, all’economia nazionale. L’obbligatorietà dell’azione penale è l’alibi che copre la discrezionalità dei magistrati inquirenti … Le indagini hanno talora un sapore politico o un senso dello spettacolo che nuoce alla loro credibilità. Il Consiglio superiore è un parlamento in cui sono rappresentate correnti ideologiche. Un organo sindacale, l’Associazione nazionale magistrati, agisce come una lobby e cerca di condizionare la decisione delle Camere. Più recentemente, alla cerimonia di apertura dell’anno giudiziario tenutasi a Catania ad inizio 2012 il ministro della Giustizia, Paola Severino, riprendeva il concetto affermando che la sfida che attende l’Italia è quella di rendere la giustizia efficiente. Il rapporto Doing Business 2012 della Banca Mondiale vede l’Italia al 158.posto su 183 Stati esaminati. Circa 9 milioni di cause arretrate che ci costano, solo per il settore civile, un centinaio di miliardi all’anno in mancata ricchezza. In materia economica, la protezione legale di un contratto, ad esempio, da noi richiede 1.210 giorni (394 in Germania, 389 in Gran Bretagna e 331 in Francia) di ben 692 giorni in più per rapporto con il valore medio dell’area OCSE, cioè di 1 anno 10 mesi e 27 giorni. È chiaro che in altri Paesi, in Germania o in Inghilterra, negli USA o in Francia, non c’è bisogno di tirare in ballo la giustizia dato che i magistrati non sono personaggi né dello spettacolo, né dello sport, né del jet-set ma importanti e al tempo stesso semplici funzionari dello Stato senza pretese di protagonismo o di essere considerati salvatori della Patria. E diviene un sano principio non conoscerne i nomi perché, come vuole il saggio, il giudice parla attraverso la sentenza e non in televisione o sui giornali. Da noi esistono troppi fuori ruolo nella magistratura e un’infinità di incarichi temporanei extragiudiziari mentre la giustizia affoga tra milioni di arretrati e ritardi da record nel deposito delle sentenze. L’arma dello sciopero talvolta usata dalla magistratura contro altri poteri dello Stato (governo e Parlamento) è, anche alla luce dei nostri principi costituzionali, un’inconcepibile abnormità. Il magistrato nell’interpretare la legge ha indubbi margini di valutazione propri ma non gli è consentito innovare perché le norme, per una corretta ripartizione dei poteri, sono fornite esclusivamente dal Legislatore. Si prenda la dichiarazione resa nel 2007 da Fabio De Pasquale: La prescrizione sarebbe una soluzione perdonistica anomala che lascerebbe troppi dubbi su un personaggio come Silvio Berlusconi in un momento in cui entrava in politica perché Fabio De Pasquale è il P.M. che nel processo Mills, per incastrare l’ex premier, ha escogitato una nuova fattispecie a caratterizzare l’istituto giuridico della corruzione susseguente in atti giudiziari. La corruzione, cioè, secondo il P.M., originerebbe non nel momento in cui il denaro viene materialmente promesso o consegnato dal corruttore al corrotto (risulta dagli atti del giudizio contro l’avv. David Mills che la messa a disposizione dei 600.000 dollari abbia avuto luogo l’11 Novembre 1999) ma, si perfezionerebbe con l’effettivo incasso della somma, nel caso di specie avvenuto a fine febbraio 2000. Il concetto è molto particolare e va confrontato con il disposto del codice penale in materia. Secondo l’art. 319 c.p. (Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio) si ha corruzione allorquando un pubblico ufficiale riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa. Questa è definita corruzione propria e si intende che la promessa o la dazione di pagamento giungano al destinatario prima che egli compia l’atto. Non prima che incassi. Anche l’art. 318 c.p. (Corruzione per l’esercizio della funzione) impiega la stessa formulazione (riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa) ma, sino al suo integrale rifacimento ad opera dell’art. 1, L. 6 novembre 2012 n. 190, distingueva fra corruzione impropria antecedente (la promessa o la dazione di pagamento al pubblico ufficiale vengono fatti prima che egli compia l’atto) e corruzione impropria susseguente (l’indebito compenso riguarda un atto proprio del suo ufficio da lui già compiuto). La distinzione ora cancellata pareva differenziare situazioni dai risvolti penali visibilmente divergenti ma, per quanto unificata, non pare possa spingersi sino al punto di criminalizzare il corruttore in dipendenza di un comportamento a lui totalmente estraneo e, in particolar modo, solo per poter disconoscere la prescrizione. Comunque la si valuti, è una decisione che non accresce di certo la già scarsa credibilità della giustizia italiana (Silvia Sciorilli Borrelli, Il Sole/24 Ore, 26 febbraio 2012), a sentenza relativa allo stralcio del processo nei confronti dell’on. Silvio Berlusconi appena pronunciata. Di fatto è un processo che finisce senza un verdetto sintetizza il Financial Times. L’inglese The Guardian titola: Il caso di corruzione di Berlusconi buttato fuori dalla Corte. Ancora Silvia Sciorilli Borrelli (Il Sole/24 Ore del 26 febbraio 2012): L’Italia, dove ogni anno si prescrivono 140.000 processi, la maggior parte riguardanti reati di corruzione, è già stata richiamata più volte dall’Unione Europea, in quanto ciò costituirebbe uno dei maggiori ostacoli al funzionamento del sistema giudiziario. Se a ciò si aggiunge che l’OCSE, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha rilevato che il primo limite alla (dilagante) corruzione in Italia è proprio la prescrizione pare legittimo interrogarsi se la tanto agognata riforma della giustizia non debba contemplare anche l’abolizione di un istituto, nato in un’epoca lontana, con la ratio, ormai palesemente tradita. Conclude l’articolista: siamo di fronte ad una grave anomalia italiana, ed oggi, abbiamo un corrotto ma non un corruttore e l’epilogo del Caso Mills è soltanto la conferma che la giustizia italiana è malata.
Ricordava Sergio Romano che le indagini hanno talora un sapore politico o un senso dello spettacolo che nuoce alla loro credibilità. Danneggia, soprattutto, la credibilità del sistema nel suo complesso. Il ministro Corrado Clini, con riferimento alla condanna a 6 anni per i 7 membri della Commissione Grandi rischi con l’accusa di non saper prevedere il terremoto dell’Aquila, ha assennatamente osservato che Il rischio è che si sia affermato il principio che non è ammesso il dubbio in una valutazione scientifica. Io credo si debba restituire ad ogni componente della vita sociale il suo ruolo. Il ruolo della scienza non è quello della politica e non è neanche quello dell’amministrazione. Probabilmente c’è un po’ di confusione di ruoli. Dalla sentenza non sembra infatti facile capire chi dovrebbe fare cosa perché un conto è se gli esperti della Commissione avessero avuto il compito di mettere sull’avviso gli amministratori, un altro ben diverso conto sarebbe stato quella di informare la popolazione. Tom Jordan, sismologo e direttore del Southern California Earthquake Center, in un’intervista a La Stampa molto opportunamente distingue: che i sismologi debbano essere chiamati solo a dare risposte scientifiche, in termini di aumento percentuale delle probabilità. Poi deve esistere un sistema automatico, in base al quale le autorità governative stabiliscono le misure da prendere. La stampa ed i commenti internazionali si sono suddivisi fra le due tesi opposte. Gli scienziati italiani riconosciuti colpevoli di omicidio colposo per non essere riusciti a fare magie secondo il Washington Post. Gli scienziati italiani sono stati condannati per ’false rassicurazioni’ prima del terremoto, invece, secondo il Guardian. La Union of Concerned Scientists, una influente ONG statunitense, ha osservato: Immaginate se il governo accusasse di reati criminali il metereologo che non è stato in grado di prevedere l’esatta rotta di un tornado. O un epidemiologo per non aver previsto gli effetti pericolosi di un virus. O mettere in carcere un biologo perché non è stato in grado di prevedere l’attacco di un orso. Gli scienziati devono avere il diritto di condividere ciò che sanno e ciò che non sanno senza la paura di essere giudicati criminalmente responsabili se le proprie previsioni non si avverano. Opposta è l’opinione della rivista Scientific american: Il processo non era alla scienza, né alla sismologia né alla capacità o incapacità degli scienziati di prevedere i terremoti. Gli imputati sono stati accusati di aver dato informazioni ‘inesatte, incomplete e contraddittorie’ sul fatto che le piccole scosse prima del terremoto del 6 aprile potessero rappresentare un avvertimento. Quali sarebbero i confini fra la colpa dedotta in sentenza (sottostima del fatto) ed il caso di procurato allarme che si configura a rovescio come reato, per essere una sovrastima del fatto, ai sensi dell’art. 658 del codice penale? L’esperto è condannato alla previsione assolutamente corretta di un evento? Quando deve scattare una procedura di emergenza se è pacifico sia impossibile prevedere la gravità di un sisma e se, di conseguenza, ogni opinione è opinabile? Gli scienziati della Commissione Grandi rischi hanno tutti dato le dimissioni. Riusciremo a formulare previsioni per il futuro con una tal spada di Damocle a terrorizzare gli esperti? E se in un domani nessuno più osasse fare previsioni e succedesse un evento dannoso chi dovrebbe assumersene la responsabilità? È di nuovo l’influenza del razionalismo costruttivista e della Dea Ragione. Per condannare l’esperto, è giocoforza ammettere che l’uomo debba essere perfetto e capace di concepire il futuro.
L’inefficiente procedere della giustizia civile pesa sul PIL italiano per almeno l’1%. All’anzidetto onere devono peraltro aggiungersi gli indennizzi degli errori giudiziari e i risarcimenti per i tempi lunghi dei processi. Così che il conto alla fine diventa salato. Anche il lentissimo cammino della giustizia penale non migliora il quadro dei costi che ricadono sulla incolpevole società civile. La strage di Piazza della Loggia a Brescia è avvenuta il 28 maggio 1974, ben 36 anni prima della conclusione del dibattimento di primo grado. Quattro successive istruttorie, ricche di moltissimi ingredienti che sono spesso presenti nelle indagini italiane (coinvolgimento dei servizi segreti e di apparati dello Stato, responsabilità morale e politica, se non materiale, dei gruppi di eversione di estrema destra) ed una lunga serie di inquietanti circostanze sono approdate, sia pur con diverse motivazioni, ad una contraddittoria soluzione di generale assoluzione. La strage di Ustica fu un disastro aereo in cui persero la vita 81 persone imbarcate su di un DC-9 Itavia. La compagnia aerea privata italiana, già oberata da una problematica situazione finanziaria, non riuscì a riprendersi e finì fallita un anno dopo. Trent’anni e più di inchieste, di imputazioni per alto tradimento a carico dei vertici militari italiani per aver ostacolato le indagini, di ipotesi di coinvolgimenti internazionali, di cedimenti strutturali dell’aviogetto, di attentato terroristico. Tutto finito in niente. Le cause non sono mai state chiarite. Unica certezza la condanna dei ministeri dell’interno e della difesa al pagamento di un risarcimento ai familiari delle vittime. Enrico Mattei morì il 27 ottobre 1962 nelle campagne di Bascapè (un piccolo paese in provincia di Pavia) durante un violento temporale mentre era in avvicinamento all’aeroporto di Linate, in un misterioso incidente aereo le cui cause non si sono mai definitivamente chiarite. Dopo oltre quarant’anni, nel 2005, fu accertata la natura dolosa dell’incidente senza però poterne scoprire né i mandanti né gli esecutori. Vennero ritrovati segni di esposizione a esplosione su parti del relitto, sull’anello e sull’orologio di Enrico Mattei. I dubbi sull’incidente furono sempre roboanti, da prima pagina e con caratteri cubitali: la CIA, il cartello petrolifero delle Sette Sorelle, la mafia, i servizi segreti, l’Organisation armée secrète (l’OAS francese del generale Raoul Salan), la scomparsa del giornalista del quotidiano L’ora di Palermo, Mauro De Mauro, avvenuta nel settembre del 1970. Tanto rumore per nulla. Alla sbarra, in realtà, finì solamente il contadino Mario Ronchi nel cui campo era precipitato l’aereo. E il povero contadino, con l’accusa di favoreggiamento personale aggravato, fu l’unico condannato. Ronchi vide l’aereo di Mattei esplodere in volo. Dopodiché, decise di ritrattare ogni cosa. Sono trascorsi 50 anni e il mistero è ancora giudiziariamente insoluto. Un altro mistero circonda le imprese e la morte di Salvatore Giuliano, il bandito siciliano che imperversò tra il 2 settembre 1943 e il 5 luglio 1950. Sette anni perché l’imprendibilità di Giuliano, di un uomo che per sette lunghi anni aveva saputo tenere in scacco il Paese, potesse divenire leggendaria. La sua vicenda può venire mitizzata o ritenuta eroica. Però il suo cursus honorum è costellato da ben 430 vittime malgrado i fatto che ogni episodio sia assai controverso e pieno di contraddizioni. Quello più famoso fu la strage di Portella della Ginestra in data primo maggio 1947 ma l’attribuzione dell’avvenimento a Salvatore Giuliano è circondato da infiniti dubbi, a partire dalla sua stessa partecipazione. Dalla mafia si racconta che ottenne protezione. Da essa fu poi abbandonato ed infine tradito. Salvatore Giuliano morì in Castelvetrano il 5 luglio 1950 ma la versione ufficiale dei fatti – scontro a fuoco fra il bandito ed i carabinieri – non resse alle indagini personali di Tommaso Besozzi, giornalista dell’Europeo, il quale, con uno scoop che fece epoca, ricostruì una verità alquanto diversa tanto da indurre il settimanale a titolare: Di sicuro c’è solo che è morto. Nell’ottobre del 2010, 60 anni dopo la morte, la salma è stata riesumata su ordine della procura di Palermo. La riesumazione – aveva spiegato il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia – è stata una scelta obbligata. Il sospetto era che nella tomba riposasse un sosia che sarebbe peraltro risultato alto 20 centimetri in meno. L’iniziativa non pare avere un grande senso dal punto di vista giudiziario. Che il P.M. si occupi di fatti che costituiscono reato è indubitabile, ma è stata aperta una nuova indagine per omicidio e sostituzione di cadavere ed è una perdita di risorse e di tempo rincorrere reati che, quand’anche fossero scoperti, i sessanta anni ormai trascorsi renderebbero di fatto non più perseguibili. Ogni eventuale scoperta potrebbe in realtà avere un senso solo da un punto di vista meramente storico, il che, tuttavia, non riguarda la Magistratura.
Altri casi non meno clamorosi arrivarono alla fine in minor tempo. Nella notte del 4 agosto 1974 il treno Italicus, superata la galleria del Brennero lungo la linea ferroviaria Roma – Monaco di Baviera, si stava avvicinando alla stazione di San Benedetto Val di Sambro in provincia di Bologna quando una bomba ad alto potenziale esplodeva nella vettura n. 5 del convoglio causando 12 morti e 48 feriti. Per quanto l’attentato fosse stato rivendicato dall’organizzazione Ordine Nero i colpevoli della strage non furono mai individuati. Il 16 dicembre 1987, 13 anni dopo, il giudice Corrado Carnevale annullava infatti la precedente sentenza della Corte d’assise d’appello di Bologna e la sentenza era di assoluzione generale di tutti gli imputati. La strage del Rapido 904, o strage di Natale, è un attentato dinamitardo in danno del rapido n. 904 proveniente da Napoli e diretto a Milano avvenuto il 23 dicembre 1984 presso la Grande Galleria dell’Appennino, proprio nei pressi del punto in era avvenuta la strage dell’Italicus. In questa occasione gli attentatori vollero massimizzare l’effetto dell’esplosione facendo entrare il treno in galleria. 15 morti, poi cresciuti a 17, e 267 feriti. Tenendo conto delle modalità organizzative ed esecutive della strage, la strage fu giudicata dalla Commissione Stragi come l’inizio dell’epoca della guerra di Mafia dei primi anni ’90. Dopo un anno circa di indagini, il 9 gennaio 1986 il Pubblico Ministero Pierluigi Vigna imputava formalmente la strage al pregiudicato Giuseppe Calò, detto Pippo, in riconosciuti rapporti con la mafia e a Guido Cercola, entrambi nel marzo 1985 già arrestati a Roma per altri reati (traffico di stupefacenti e altro ancora). Furono scoperte diverse linee di collegamento tra Calò, la mafia, la camorra napoletana, gli ambienti del terrorismo eversivo neofascista, la Loggia P2 e la Banda della Magliana. La Corte di Assise di Firenze il 25 febbraio 1989, comminò ai due e ad altre persone la pena dell’ergastolo. La pena venne confermata in secondo grado (Corte di Assise di Appello di Firenze, sentenza del 15 marzo 1990) ma la prima sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Corrado Carnevale, annullò con rinvio ad altra sezione della Corte d’Assise d’Appello di Firenze la sentenza di appello. Questa il 14 marzo 1992 riconfermò le condanne. La quinta sezione penale della Cassazione il 24 novembre 1992 confermò la sentenza, riconoscendo la matrice terroristico – mafiosa dell’attentato. Solo 8 anni. Suggeriva Ennio Flaiano: La situazione politica in Italia è grave ma non è seria. Amen.
© Carlo Callioni 2011