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Carlo Martello

Un blog per ospitare le mie opinioni su politica, economia, storia, e chi più ne ha più ne metta

Da grande voglio fare il commercialista

(Nella foto: i "ragazzi della 5a C dell'Istituto Tecnico Commerciale "Vittorio Emanuele II" di Bergamo, in occasione della "reunion" il 14/11/1992, a oltre 40 anni dalla maturità)

E’ tempo di Natale. E’ tempo di sogni e di desideri, come per i bambini. Ma anche ai grandi, talvolta, può accadere di sentirsi di nuovo bambini e di sognare. (Benché generalmente la cosa non mi accada, ho sognato anch’io, proprio come un bambino. Ad occhi aperti). Magari ad occhi aperti. E l’angioletto cui avevo ingenuamente raccontato cosa avrei voluto fare da grande – da grande voglio fare il commercialista gli avevo confidato – mi aveva espresso, totale e senza riserve, la sua approvazione. Una attività libera – commentava gioiosamente – che comporta tutti i rischi ma che dona anche tutte le gratificazioni dell’indipendenza; un impegno importante che ti premia se sei bravo malgrado ti obblighi, per contro, a studiare ininterrottamente una vita intera; qualcosa che ti dà responsabilità ed é utile per te ed anche per gli altri, almeno se avverti di possedere una coscienza civile. Macché commercialista – aveva interloquito il diavoletto – se vuoi avere fortuna nella vita dai ascolto a me, da grande fai il sindacalista. Avrai più riconoscimenti, potrai godere una vita tutto sommato meno incerta e più tranquilla, ci sarà un generale apprezzamento per il tuo indiscusso impegno nel sociale.

Devo confessare che tutto mi sarei aspettato di udire fuorché ciò che avevo sentito. Una così netta divaricazione di suggerimenti, oltretutto, mi sembrava poco pertinente: essere commercialista mi sembrava significasse attendere ad una professione radicalmente diversa da quella del sindacalista. Non è così vero – aggiunse il diavoletto – pensa, intanto, quanti sindacalisti sono diventati uomini importanti o, addirittura, indispensabili: quanti ministri o, se non proprio ministri, almeno quanti sottosegretari o, se non proprio sottosegretari, almeno quanti presidenti o quanti consiglieri di amministrazione di enti pubblici nei quali non è mai il caso di ricoprire incarichi ma, essenzialmente, di attendere ad una funzione che non può essere assegnata, in quelle strutture di interesse pubblico, al primo venuto, ma solo a personaggi di specchiate virtù morali e di elevate qualità professionali, molto esperti in amministrazione, in grado, in definitiva, di assicurarne il funzionamento più corretto e proficuo ed un successo garantito.

Per un momento mi erano passate per la mente le disastrate sorti dell’INPS, Istituto che, mi pareva di ricordare, fosse stato a suo tempo, affidato alle cure dei sindacalisti ma, a dire il vero, mi sentivo troppo bambino per pensare maliziosamente ad allacciare strani rapporti di causa–effetto in qualche modo collegabili fra di loro e ad insistere più di tanto sul punto. Non potevo però tralasciare di riflettere su di un diverso fatto: spesso per i sindacalisti si poteva intravedere anche una dimensione di successo in politica dato che, ancora oggi, se ne contano diversi in organizzazioni e movimenti politici senza scordare quelli che sono arrivati persino a ricoprire la carica di segretario di un partito e, istintivamente, mi era balenata l’idea che, forse, un qualche collegamento fra politica e funzioni pubbliche poteva anche non essere meramente casuale. Ma il diavoletto, ad evitare l’approfondimento di un così cattivo pensiero, lo interruppe e mi incalzò: pensa al fatto che entrambi, commercialisti e sindacalisti, seguono le aziende, i primi per mero interesse personale, solo i secondi per puro spirito di servizio della collettività.

Carlo Callioni bambino, seconda metà degli anni ’30

Non potendo dire per servizio alle aziende – intervenne spazientito l’angioletto al sentire una vera e propria enormità – perché, essendo intelligente, non ritiene opportuno sostenere un argomento che, alla lunga, dimostrandosi falso, non gioverebbe affatto alle sue tesi, deve contentarsi di sviare il discorso sulla collettività. Così facendo, però, spera unicamente che, anche l’impresa risultando essere in qualche maniera una collettività, nessuno gli muova obiezioni più sostanziali. L’angioletto, a ben vedere, era (naturalmente, nei limiti di quanto un angelo può esserlo) più furioso che spazientito ma non capivo bene se ciò fosse dovuto all’accalorarsi della discussione o al disgusto di ascoltare delle affermazioni che, era lampante, doveva ritenere proprio assurde e stravaganti. Di getto, sbottò: il progresso civile, politico ed economico rende ogni giorno più necessario, e per un numero sempre crescente di cittadini, il ricorso al parere ed all’assistenza di esperti che li possano aiutare nella ricerca della più conveniente soluzione di questioni magari anche complesse, delicate o riservate. Ciò rappresenta il fondamento e costituisce la motivazione logica di tutte le professioni, di quella del medico come di quella del notaio, delle prestazioni dell’ingegnere, dell’architetto, dell’avvocato o, infine, del commercialista. Ed è per tutto questo, per la esclusiva tutela del cittadino che lo Stato si assume l’onere di garantire, al meglio, l’esercizio dell’attività professionale e comanda che esso sia subordinato – e solo dopo il superamento di uno specifico esame di Stato – all’iscrizione in un apposito Albo cosicché colui che vi risulti iscritto possa costantemente essere sottoposto al controllo della pubblica Autorità. La Costituzione e la legge, d’altronde, vogliono questo, espressamente. Il cittadino – continuò – deve ragionevolmente poter nutrire piena fiducia nella competenza, nella libertà di giudizio, nella correttezza e nel riserbo del professionista e questi deve, per converso, assicurargli una elevata preparazione professionale, la più totale indipendenza e dedizione, una integrità umana e professionale indiscusse ed il dovere (con il conseguente diritto) al segreto professionale.

Non potendo controbattere in modo convincente, il diavoletto cercò di cambiare le carte in tavola. Visto che lui conosce tanto bene tutti i vantaggi che le professioni assicurano al cittadino – insinuò in modo suadente e vellutato, come per non farsi sentire dall’angioletto ma accertandosi che io, invece, intendessi bene – chiedigli se le loro prestazioni garantiscono al cittadino il conseguimento di un risultato concreto oppure se si limitano solo a tradursi in semplice servizio, punto e basta. Può, ad esempio, il commercialista garantire il cittadino che la sua dichiarazione sia corretta e fedele e che il futuro non gli riservi grane con il Fisco ? Può lui garantire questo al cittadino ? In effetti, non mi sembrava potesse. Cercavo istintivamente aiuto ricorrendo alle professioni di più lunga tradizione e di sempre grande prestigio ma mi sembrava onesto concludere che no, in realtà nessuno potesse. Neanche il medico, pensavo, può garantire la sopravvivenza del malato malgrado le cure più adatte; nemmeno l’avvocato, mi dicevo, può essere certo di salvare l’imputato dal carcere ancorché la sua difesa sia condotta da vero principe del foro.

Il diavoletto si sentiva vincente ed era come se mi leggesse nel pensiero. E’ socialmente grave ammettere la morte del malato perché il medico non l’ha saputo curare o l’incarcerazione dell’imputato perché l’avvocato non ha saputo difenderlo: causa per essi di irrimediabili conseguenze. Non pensa a ciò – aggiunse – e quanto grave sia il non poter garantire alcuna vera certezza al cittadino ? Se, ad esempio, il medico non può garantirti la sopravvivenza perché non permettere che anche l’infermiere possa prescrivere le medicine e … A metà fra il parare al mio stordimento e l’essere di suo sempre più alterato, l’angioletto cercò di arrestare la valanga che mi stava sommergendo ed interloquì, non potendo fare a meno di interrompere in modo davvero scortese e scomposto l’altro per uscire, con aria proprio angelica ma, in fondo, un po’ buffa e con un fragoroso: ma chi garantisce che le medicine prescritte siano il risultato di una diagnosi corretta? e con un fragoroso: solo il diavolo può promettere, solo fraudolentemente e solo con l’inganno, all’uomo la certezza della vita eterna che è prerogativa esclusiva di Dio. Probabilmente, voleva solo sostenere che, nel mondo degli uomini, non vi possono essere certezze che solo Dio possiede o, come sosteneva più enigmaticamente Cicerone, che solo dubitando si giunge alla verità, ma il diavoletto proseguì senza degnarlo di una risposta forse per lui troppo imbarazzante – … fai attenzione a quello che può fare il commercialista per garantire che le dichiarazioni dei redditi dei cittadini siano fedeli e corrette. Ciò che, d’acchito, mi parve fosse per concludere vittoriosamente un’arringa travolgente e, per tanti versi, convincente, riesaminato con più calma poteva, però, forse, invece, essere un semplice mezzo per stornare l’attenzione da un altrimenti evidente imbarazzo. Proseguì dunque categorico: Nulla, sconsolatamente, proprio nulla. Il CAF, al contrario, organizzato dal sindacalista, può.

Non capivo bene come potesse essere ma cercavo di darmi un contegno e di adeguarmi, anche per non sembrare sciocco – sebbene fosse mio fermo convincimento che il mondo, spesso, abbia visto, unicamente per effetto di dogmi o di ideologie quanto mai deleteri per l’umanità, propagate, artatamente ed irresponsabilmente, false certezze – ma umilmente aspettavo che mi facesse comprendere l’altrimenti inspiegabile verità. Non si fece pregare: é cosa già successa – disse – poco tempo fa e si tratta di fatti concreti e tangibili e non di parole.

Foto di gruppo dei “compagni della 5a C” dell’Istituto Tecnico Commerciale Vittorio Emanuele II, 40 anni dopo il diploma, in un incontro tenuto il 14 novembre 1992

Esso contribuisce positivamente alla realizzazione della giustizia tributaria e a sconfiggere l’evasione. in modo perfetto. Il Ministero delle Finanze, ad esempio, poco tempo fa, aveva avvertito la necessità di rivolgere a taluni contribuenti alcune domande su modelli 730 da loro presentati per mezzo del CAF che sembravano contenere presunte incongruità. La notizia, com’è intuibile, si era diffusa in un baleno ed aveva creato un comprensibile panico fra i contribuenti. Ma, per fortuna, é intervenuto il CAF che ha precisato al Ministero come le dichiarazioni fossero perfette ma, soprattutto, lo ha convinto non sussistesse alcuna esigenza di ulteriori controlli. Che diamine! Il CAF non è un privato, magari inaffidabile. Siccome non ha interessi propri si può nutrire piena fiducia nel suo intervento, è una organizzazione seria pensata apposta per operare per il bene del Paese. Dalla considerazione del fatto che la questione non ha avuto alcun seguito, né ispezioni né accertamenti, deve essere logicamente che il Ministero abbia riconosciuto semplicemente come assolutamente veri i chiarimenti forniti dal CAF con una soluzione a dir poco miracolosa: si cessi dall’insistere con i contribuenti a disturbarli oltre misura e senza ragione plausibile quando i loro dati siano stati filtrati dal CAF del quale si accetti in pieno e senza alcuna riserva l’opera che si pone al servizio di una superiore esigenza di giustizia tributaria e che realizza una finalmente raggiunta collaborazione che, dopo secoli di incomprensioni e di ripicche, definitivamente si può instaurare fra Fisco e cittadini. Mi sembrava un po’ come il Catasto, mai aggiornato in Italia, che con l’invio in Albania trovava il felice superamento di annosi arretrati, ma non potevo esimermi dal supporre, come il Candido di Voltaire, che tutto stava procedendo per le migliori sorti del Paese e che non si sarebbe potuta escogitare una soluzione ad essa preferibile. Basterebbe tutto ciò – proseguì il diavoletto, convinto di avere ormai partita vinta – a provare quanto la soluzione sia, invero, meritoria ed altamente lodevole.

© Carlo Callioni 1998

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