• Mar. Apr 29th, 2025

Carlo Martello

Un blog per ospitare le mie opinioni su politica, economia, storia, e chi più ne ha più ne metta

Il progresso rappresenta sempre una conquista per l’uomo?

Non passa giorno senza che una qualche novità – spesso, una qualche brutta novità – ci preoccupi tanto seriamente da farci pensare quali concrete probabilità noi ed i nostri figli abbiamo non solo di vivere quietamente e serenamente ma addirittura e anche solo di poter sopravvivere. Non é un’ipotesi da day after ma piuttosto un lento e quotidiano stillicidio. Se una volta si ha notizia che é l’acqua delle fonti ad essere inquinata – per via dell’atrazina o, poco importa, di qualche altra diavoleria – la volta successiva é la sofisticazione degli alimenti ad occupare intere pagine di giornali e, purtroppo, ormai, a farci conoscere tutto sulle nefande conseguenze di certe sostanze chimiche sullo stato della salute. Talvolta é l’industria dell’uomo a sprigionare vapori e sostanze che hanno nomi che risultano difficili da memorizzare e ricordare per essere strettamente scientifici e totalmente astrusi, ciononostante, rendono l’aria irrespirabile e preoccupano ed insidiano la vita di interi paesi. Talaltra, é una qualche centrale nucleare, per lo più sita in una località prima del tutto sconosciuta, a diffondere un avvelenamento impalpabile ed inudibile contro il quale non c’é difesa che di fatto si possa opporre. Qui, fra l’altro, ci si trova di fronte non più ad un singolo individuo, ad un paese o ad una regione: l’angosciante e terrificante prospettiva riguarda addirittura e coinvolge intere nazioni. Così, d’altronde, non c’é difesa per arrestare i rumori che ci assordano o la progressiva morte di laghi e fiumi che impoverisce la natura attorno a noi. Non  sembra possa ergersi barriere sufficienti a contrastare l’allarmante dilagare dell’inquinamento dei mari e dell’atmosfera e l’inaridirsi della terra e dei derivati riflessi nocivi ed irreversibili sul clima e sulla natura dell’intero pianeta. Nemmeno si riescono ad intravedere per tutto ciò rimedi che si dimostrino ragionevoli ed applicabili. Si dovrà tuttavia rapidamente cambiare modo di vivere e, per sopravvivere, sarà necessario contenere e ridurre le continue e stressanti sollecitazioni di un sistema di vita che é sempre meno calibrato sull’essere umano.

La civiltà moderna si trova in una dannosa situazione – scriveva già tanti anni fa, con illuminante precognizione, Alexis Carrel, premio Nobel 1912 – perché non si adatta più a noi; essa é stata costruita senza conoscenza della nostra vera natura; é dovuta ai capricci delle scoperte scientifiche, agli appetiti degli uomini, alle loro illusioni, alle loro teorie, ai loro desideri. Benché costruita per noi, non é stata fatta sulla nostra misura. Gli uomini hanno posto il loro cervello al servizio del progresso scientifico ma non hanno saputo sviluppare un’altrettanto valida conoscenza della loro propria natura che permetta loro di stare al passo delle eccezionali novità che hanno saputo creare senza far nascere una correlativa ed indispensabile capacità di lettura del mondo che cambia. L’assoluta ignoranza della natura umana ha fatto sì che la meccanica, la fisica e la chimica operassero, quasi autonomamente, a modificare a caso le primitive forme di vita. Cosicché l’uomo, che dovrebbe essere la sintesi e la misura del tutto, in realtà si trova ad essere un estraneo nel mondo da lui stesso costruito. Se non é stato in grado di organizzare una vita a suo vantaggio ciò é avvenuto perché egli fra la scienza della materia bruta e quelle degli esseri viventi ha privilegiato la prima a tutto scapito della seconda. E fra le due scienze vi é una singolare profonda differenza. Mentre l’astronomia, la meccanica, la fisica hanno per base concetti che possono venire agevolmente espressi in un linguaggio matematico e quindi in forma nitida a tutti agevolmente comprensibile e magari anche elegante, le scienze biologiche hanno percorso uno sviluppo altrimenti orientato, oppresse come sono sotto un cumulo di fatti che, se anche si riescono a descrivere, tuttavia non sempre si possono sintetizzare facilmente ricorrendo ed usando formule algebriche logicamente definite.

L’uomo é una universitas estremamente complicata e non si é sinora escogitata alcuna metodologia di studio che possa, nel medesimo tempo, afferrarlo nel suo insieme e nelle sue singole parti componenti. Diverse scienze distinte, ciascuna delle quali termina inevitabilmente in una differente concezione del suo oggetto perché propria ed aderente alle conoscenze che domina, estraggono quanto la natura delle loro tecniche specifiche permette loro di ottenere ma la somma di tutte queste astrazioni ha una valenza parziale, meno ricca dell’uomo come fatto concreto. L’uomo così concepito non é l’uomo reale perché egli non é solo il corpo trattato dagli anatomisti o la coscienza tenuta in conto dagli psicologi o la personalità che emerge all’introspezione dell’animo. Egli é anche le sostanze che costituiscono i tessuti e gli umori del corpo ed è un insieme di cellule e di liquidi organici. Egli é cuore e coscienza, é intelligenza e cellule celebrali. Quindi, é anche homo oeconomicus oppure è il poeta, l’eroe, il santo, é un composto variegato ed eterogeneo di volontà, di desiderio, di sentimenti e di credenze. Se si può tranquillamente ammettere che tanto il prete quanto il materialista possano accettare la medesima valutazione di un qualsiasi elemento presente in natura, si può stare pur altrettanto certi che essi avranno opinioni irrimediabilmente divergenti quando il giudizio dovesse riguardare l’essere umano e la sua natura.

L’ambiente che l’uomo si é costruito con la sua intelligenza e con le sue meravigliose invenzioni non sempre gli é adatto e in esso si vive spesso da infelici, con il continuo rischio di degenerare moralmente e mentalmente perché, di fronte al trionfo della mente umana che ci ha portato ricchezza e benessere, i valori morali sono in qualche modo compressi e naturalmente ristretti e ridotti. Di certo, il progresso sta sradicando ogni più sana tradizione così come la ragione tende a sostituire le credenze religiose con la logica e le scienze. Eliminati la tubercolosi, la difterite, il tifo e tanti altri malanni che, un tempo, operavano una tragica e dolorosa selezione naturale fra gli uomini, la mortalità diminuisce a vista d’occhio ma aumenta il numero dei casi che riguardano le malattie mentali. Tali patologie sono sempre più frequenti e rappresentano uno dei fattori più aggressivi di infelicità individuale. Avendo la civiltà moderna cancellato un sistema di vita naturale, il problema non sta nel rinunciare ai benefici indotti dalle innovazioni tecnologiche – ché non é pensabile né augurabile il ritorno ai tempi che magari potrebbero farci risalire anche fino all’età della pietra – bensì nel ritrovare una centralità dell’uomo che non sia un’espressione meramente verbale. Se anche la religione, la scienza, la morale, la filosofia, l’economia, la politica mettono l’uomo al centro dell’universo, ciò spesso avviene in modo difforme e si rende difficile capire che la conoscenza dell’uomo rappresenta un obiettivo ed un traguardo da perseguire con assoluta determinazione e con unicità di intenti. La conoscenza dell’uomo é diventata perciò indispensabile e urgente, più di ogni altra scienza e sapere umani. Tecnologia ed umanità, in altri termini, debbono riferirsi ed entrambe convergere verso un vero ed auspicabile progresso umano e civile.

Non può che essere bene accetta la diffusione non solo in città ma anche nelle campagne di un numero di comodità riservate una volta solo a pochi privilegiati così come é del tutto positivo constatare come anche gli uomini più modesti abitino oggi appartamenti la cui agiatezza supera assai quella che circondava l’imperatore Augusto o Luigi XIV o Maria Teresa d’Austria. Ci si deve, ancora, rallegrare del fatto che gli uomini siano mediamente più educati, inteso come più istruiti e civilizzati, di quanto non potesse accadere una volta. Ci si deve rallegrare, infine, della (quasi totale) liberazione che la civiltà attuale ha concesso agli uomini dalla schiavitù del bisogno e della fame. Sarebbe sciocco e non dobbiamo – ma, nemmeno, forse, potremmo – rifiutare la tecnica ed i tanti vantaggi che da essa copiosamente derivano. La civiltà delle macchine e le sue infinite applicazioni pratiche – dalla medicina ai calcolatori alle ricerche e alle avventure spaziali – migliorano la qualità della vita e deve essere, perciò, benvenuta, a patto però di non soffocare l’intima essenza della natura umana che deve mantenere sul mondo esterno una supremazia che stiamo rischiando di perdere, compromettendo così un futuro per più versi si presenta ricco di confortanti ed allettanti promesse. E poiché – come diceva Lord Byron – il miglior profeta del futuro é il passato e, per quanto il senso della vita sia dato dall’avvenire, prescindere dal passato é impossibile. Dovrà essere necessariamente impossibile. Dovremo, dunque e sopratutto, ripercorrere il lungo cammino della nostra civiltà e rivalutare la tradizione maturata nei secoli quale somma di possibilità offerte dal passato per la creazione di un avvenire il quale, per evitare l’impazzimento del consorzio umano, riparta dal conosci te stesso di Socrate, detto duemila e più anni fa ma ancora oggi non compiutamente realizzato e di viva modernità e di pregnante e drammatica attualità.

Il che, peraltro, richiama il motto ed il fine statutario di Triskelès.

© Carlo Callioni 1987

[articolo pubblicato su “Triskeles”, notiziario quadrimestrale dell’Associazione Triskeles, Anno I – n. 1 – Maggio 1987]