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Carlo Martello

Un blog per ospitare le mie opinioni su politica, economia, storia, e chi più ne ha più ne metta

Consiglio comunale di BergamoConsiglio comunale di Bergamo

Nell’intervista da Voi pubblicata il 13 giugno 2014 l’ex capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale a Bergamo Giuseppe Petralia ha sviluppato alcune considerazioni sulle quali vorrei, se mi è permesso, esprimere un parere. Matteo Renzi ha detto cose chiare e credibili, così esordisce l’articolo con riferimento alle recenti elezioni amministrative. Che Matteo Renzi abbia detto cose chiare e credibili è del tutto pacifico. Credo, anzi, che quasi tutte le affermazioni da Lui fatte nel tempo (ad es.: sulle riserve dei sindacati, sullo stipendio dei magistrati, sui rapporti con le banche, sul contrasto alla burocrazia) non solo siano chiare ma siano addirittura argomenti in perfetta sintonia con il pensiero liberale. Pensiero che non dovrebbe suonare sgradito a Forza Italia. Il condizionale è d’obbligo perché il commento aggregato (Forza Italia non dovrebbe limitarsi agli 80 euro ma rilanciare ad almeno 200 euro) desta qualche perplessità. In primis, sembra trattarsi di una banale ricopiatura dell’idea di Renzi: parlarne prima avrebbe potuto avere un ben diverso significato, rilevarlo a posteriori induce invece una lettura solo critica. Ma è un dettaglio. Più essenziale – e senza voler sembrare il bastian contrario che, per partito preso, assume opinioni o atteggiamenti contrari a quelli di Matteo Renzi – vorrei piuttosto evidenziare il fatto che nell’intervista non si denuncino i difetti del progetto Renzi e ciò non tanto dal punto di vista politico quanto da quello economico. Il modello redistributivo, tradotto nel D.L. 24 aprile 2014 n. 66, richiama il populismo peronista di 50 anni fa o, nel migliore dei casi, si traduce in un appello a favore delle controverse teorie di John Maynard Keynes di un secolo fa. Vi si rintracciano almeno due equivoci di fondo. Riconoscere a 10 milioni di soggetti IRPEF fino a 1.000 euro in più in busta paga all’anno potrà magari ravvivare un poco i consumi anche se, sinora, universalmente si reputa manchino oggettivi riscontri confortanti al riguardo ma sconfessa la saggia opinione di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi (Il liberalismo è di sinistra, Il Saggiatore s.p.a., Milano, settembre 2007): La disuguaglianza sociale non si elimina sopprimendo la concorrenza e impedendo che le retribuzioni siano decise dal mercato; questo è solo un modo per ammazzare la crescita). Per profittarne occorre già avere una busta paga, il che, quand’anche il reddito fosse inferiore a 25 mila euro, non sarebbe da tutti. Non lo è per i disoccupati, gli esodati, i lavoratori non dipendenti: artigiani, commercianti, lavoratori autonomi, pensionati. Con un danno aggiunto dato che chi non sta fra i favoriti subirà un’ingiustizia addizionale: per via di una semplice imposizione dall’alto, essi si troveranno svantaggiati rispetto ai primi. Nel merito traspare un pizzico di demagogia. Cosa rappresentano in fin dei conti gli 80 euro? Un ammortizzatore sociale? un aiuto statale? una strenna agli amici? Non ricordo chi fosse a dire che, se interviene nell’economia,  lo Stato sa moltiplicare la miseria per tutti a vantaggio (non sempre) di pochissimi. Inoltre, è da verificare se esistono i mezzi per farvi fronte. Che è contesto ancora più confuso. Qualcuno afferma che le coperture siano certe; altri dubita persino della veridicità dell’asserzione. Certo che l’unire nello stesso provvedimento (il D.L. 24 aprile 2014 n. 66) il bonus degli 80 euro (titolo I, che già nel titolo del Capo I dichiara il proprio ambizioso obiettivo: Rilancio dell’economia) all’aumento al 26 per cento delle imposte su interessi e premi del Capo II fa ragionevolmente sospettare che l’abbinamento di norme non sia casuale ma causale e che gli 80 euro siano il contraltare delle maggiori imposte future (sperate). Il che induce un ulteriore commento. La tassazione delle rendite finanziarie già di per sé sa di opinabile populismo (togliamo ai ricchi per dare ai poveri) che, c’è da crederlo, non porterà lontano. Non è mai stato in realtà possibile ricavare grandi soddisfazioni da aspettative costruite su simili presupposti mentre, al contrario, è facile riscontrare una profonda ignoranza dei mezzi adatti a favorire e dare impulso a crescita e ripresa economica. Il lavoro viene solo dall’impresa e nell’impresa. È il capitale che attira il lavoro e non si dà assolutamente mai nessuna ipotesi alternativa o contraria. Non sono i sindacati a procurarlo, non sono i giudici a garantirlo. Meno che mai i politici che possono, al massimo creare intralci. Il prof. Gino Zappa definiva l’azienda una coordinazione economica in atto istituita e retta per il soddisfacimento di bisogni umani. Gli elementi che la caratterizzano sono il capitale ed il lavoro mentre la coordinazione è assicurata dall’imprenditore. La realizzazione dei beni e servizi prodotti dall’attività dell’azienda deve consentire la remunerazione dei c.d. fattori di produzione: appunto il capitale ed il lavoro oltre, beninteso, l’apporto dell’imprenditore. Se ciò non si realizza l’azienda inaridisce e muore. Il bilanciamento di tali remunerazioni (salario al lavoro e utile al capitale) è compito proprio dell’economia aziendale e lo Stato – che ne requisisce una parte sotto forma di imposte – deve stare ben attento a non stravolgere il sistema, pena la sua distruzione. Che è quanto avviene in Italia dall’avvento del centrosinistra. La remunerazione del capitale di rischio è intrinsecamente differente dalla remunerazione dei titoli pubblici. Questa, intanto, è prevalentemente improduttiva o molto scarsamente produttiva ed è una tipica rendita esclusivamente finanziaria. Il capitale di rischio è, al contrario, il normale mezzo di finanziamento dell’azienda e le azioni e le obbligazioni vengono negoziate nella Borsa valori, il mercato peculiare del settore che agevola l’incontro fra risparmiatori ed investitori. Penalizzare la raccolta del capitale ed il regolare funzionamento della Borsa ostacola gravemente l’ordinato andamento dell’economia, specie in un Paese come l’Italia dove già le aziende sono frequentemente sottocapitalizzate. Ciò non può che andare a totale detrimento della crescita e del rilancio del Paese. Potrà non condividersi in pieno la teoria di Luigi Einaudi che asseriva come tassare il reddito mandato a risparmio e poi il reddito derivante dal risparmio fosse una doppia tassazione ma si accolga almeno il principio che il risparmio è condizione indispensabile all’investimento cosicché l’investimento possa favorire la crescita economica. Senza di che il rapporto debito – PIL è ineluttabilmente destinato ad aumentare, un’esperienza già vissuta dopo il 1992 con il governo Amato: in quegli anni le privatizzazioni ridussero il rapporto debito – PIL di oltre dieci punti, ma poiché non si fece nulla per la crescita, nel decennio successivo quel beneficio ce lo siamo mangiati, come saggiamente ricordano Alberto Alesina e Francesco Giavazzi (Corriere della Sera, 14 novembre 2011).

A mio modo di vedere, non è regalando qualcosa a qualcuno che si promuove lo sviluppo dell’economia, ma ponendo condizioni favorevoli al progresso dell’impresa. Come non è stanziando fondi a sostegno dell’impresa che si garantisce la sua sopravvivenza e il suo potenziamento, ma creandole intorno ad essa un clima di libertà senza inutili zavorre o burocratici intralci o ideologiche molestie. Se l’impresa non è in grado di vivere con i soli suoi mezzi è meglio chiuderla perché ogni aiuto sarebbe sprecato: Alitalia docet. Tanto più la rimunerazione del capitale sarà scadente, tanto più gli investimenti diminuiranno. Gli impianti non verranno rinnovati. La ricerca e l’innovazione deperiranno. L’azienda rinuncerà ad allargare la propria attività. Il livello di occupazione del personale al suo interno non verrà ampliato, semmai verrà compresso. Credo occorra sempre ricordare che le economie competono non solo nel produrre beni e servizi ma soprattutto nella tassazione dato che un regime fiscale leggero attrae più investimenti. Tutte le delocalizzazioni partono immancabilmente da questa considerazione di base. È l’affresco compreso giudiziosamente persino dallo stesso Matteo Renzi: una parte delle aziende sta decentrando, non come dieci anni fa per il costo del lavoro e allora vai in Cina, in Vietnam, in Serbia … adesso le aziende delocalizzano in Germania o in Austria perché hanno una burocrazia più semplice, hanno un fisco chiaro, hanno un costo dell’energia che è il 30 per cento in meno. Assolutamente vero, ma non basta denunciare, occorre rimediare. Il guaio è che, nella storia, tutti i fondamentali del socialismo hanno costantemente ignorato un principio di fondo: occorre creare la ricchezza prima di poterla ridistribuire. Tutto il resto sono solo chiacchiere. È contradditorio elevare la tassazione delle rendite finanziarie esonerando i titoli pubblici, privilegiando cioè il debito pubblico e penalizzando l’unica via realmente percorribile di creazione del capitale di investimento nell’impresa, di fatto ponendosi contro l’avvio della ripresa economica, così come, per associazione di idee, è inaccettabile in un Paese civile mancare il rimborso dei debiti che il settore pubblico ha verso le imprese. Pagare i propri debiti dovrebbe essere un elementare principio di onestà e sarebbe modo di agire utile alla ripresa.

Giuseppe Petralia sostiene che Forza Italia paga la mancanza di un progetto nazionale credibile. Quando, però, agli 80 euro contrappone i 200 euro parrebbe averne uno. Sarebbe interessante lo chiarisse in dettaglio fornendo opportune delucidazioni quanto a finalità ed attese.

© Carlo Callioni 2014 

Giuseppe Petralia, ex consigliere comunale di Bergamo per Forza Italia


SI RIPORTA DI SEGUITO UN ESTRATTO DELL’ARTICOLO DI CUI SI PARLA NEL TESTO, PUBBLICATO DA BERGAMO SERA IL 13/6/14

Intervista all’ex capogruppo forzista in consiglio comunale a Bergamo. Analisi e critiche costruttive

Petralia, le elezioni per il centrodestra non sono andate granché bene. Perché?
Non ci siamo accorti che all’alba del terzo millennio non si può ancora fare la campagna elettorale come la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista. Abbiamo pagato lo scotto di un avversario capace, a cui dobbiamo fare i complimenti. Lui è stato capace. E’ stato umile. Ha stretto tante mani. Aveva una proposta. L’ha saputa propagandare e l’ha saputa portare in giro tra la gente.
E voi?
Noi abbiamo sbagliato. La campagna elettorale è stata impostata male. Per scelta, certamente. Il sindaco ha scelto di dare un certo taglio alla campagna elettorale e noi rispettosamente ci siamo allineati. Ma, a cose fatte, bisogna che anche lui si renda conto che l’ha sbagliata di grosso.
Il risultato di Forza Italia è negativo in città …
E’ molto negativo rispetto a quello di 5 anni fa, perché Forza Italia paga la mancanza di un progetto nazionale credibile. Non possiamo continuare con le solite giaculatorie, che ormai non pagano più. Va dato atto a Berlusconi di aver avuto un ruolo importante nella storia di questo paese, di aver avuto molti successi. Ma adesso deve prendere atto che o si cambia davvero registro o altrimenti su questa strada il partito è finito. Non ha prospettive.
Tutta colpa di Renzi o c’è qualcos’altro?
Renzi è contato molto nella scorsa tornata elettorale, perché ha detto cose chiare e credibili. Ha parlato ai cattolici in maniera molto semplice e ha posto la questione fra ciò che è giusto e ciò che ingiusto. Fra ciò che è equo e ciò che è iniquo, ridando speranza. Gli 80 euro possono anche esseri strumentali. Ma un centrodestra serio, invece di dire che sarebbero stati assorbiti dalle tasse, avrebbe dovuto rilanciare, spiegando che ce ne volevano almeno 200 e costruendo un proposta politica in grado di sostenere l’iniziativa.
Serve un cambio di passo, per dirla alla Gori?
Ci vuole una cambio di passo molto forte. Credo che il partito abbia ancora bisogno di Berlusconi, ma in una posizione diversa. O accetta che all’interno del partito ci siano momenti di democrazia vera, di discussione non finta, o altrimenti è Berlusconi stesso che condanna il partito alla sua fine.
Fitto ha lanciato il sasso nello stagno …
Non mi riferisco solo a Fitto. Dentro il partito ci sono molte teste pensanti. Fitto ha posto un problema, del quale secondo me bisogna discutere. Peccato che Fitto lo ponga da un punto di potere e quindi diventi sospetto. Bisogna che ci sia qualcuno che abbia una verginità autentica per porre il problema in maniera più credibile. Il problema è quello della democrazia, interna ed esterna al partito.
Intende una spinta dal basso?
La democrazia deve venire prima di tutto dal territorio. E’ necessario aprire il partito. In questo momento non abbiamo bisogno di fare congressi fra tesserati, iscritti e delegati. Abbiamo invece bisogno di momenti di grande incontro con tutta la gente che si sente a noi vicina. Gente che possa parlare e dire. Noi abbiamo bisogno di ascoltare. Serve l’umiltà di ascoltare la gente, di tornare fra la gente. E poi abbiamo bisogno di proposte credibili.
Tornando alla città, la proposta di Forza Italia era troppo appiattita su Tentorio?
Riconosco a Tentorio di avere amministrato bene, con grande senso delle istituzioni e grande capacità amministrativa. E’ mancato un progetto politico globale, un sogno. A ciò si è sommato un gap di comunicazione che avevo già segnalato in precedenza, pur rimanendo inascoltato. La gente sceglie per ciò che vede, siamo nella società delle immagini, non scordiamolo.
Quanto al suo risultato personale?
Il mio risultato è stato deludente. Sono francamente amareggiato. Ma in politica così vanno le cose e quindi accetto il verdetto. E lo stesso vale per Leonio Callioni a cui va la mia stima. Ci hanno rottamati entrambi. Ma continueremo certamente a fare politica. Non demorderemo.
Cosa dovrà fare Forza Italia Bergamo per rimettersi in carreggiata?
La prima cosa da fare è un’analisi attenta e seria del perché nella nostra città nessun sindaco da 20 anni a questa parte riesce a fare due mandati consecutivi. Auguro a Gori di riuscirci, per carità. Ha vinto secondo me meritatamente e gli va la mia stima. Ma la motivazione del fenomeno dei due mandati va certamente indagata.
Poi?
In secondo luogo il partito va rifondato profondamente. È vero, abbiamo vinto ad Albino e Seriate ma la città è una perdita gravissima. Possiamo fare anche un’analisi delle preferenze e sostenere che tutto ha funzionato, ma non sarebbe serio politicamente. E’ come un centravanti che dice: io ho segnato tanti gol e sono stato bravo. Salvo poi accorgersi che gli avversari hanno fatto meglio e la sua squadra è retrocessa.
Cosa va cambiato?
Serve un nuovo coordinamento cittadino. Occorre un’analisi e una riflessione seria in coordinamento provinciale. Non per alzare l’indice contro qualcuno. Ma per capire cosa è successo negli ultimi 5 anni e ripartire. In modo che dal 1. gennaio 2015 il partito cominci a costruire il nuovo candidato sindaco di Forza Italia.
Quanto alla coalizione?
Va rivisto il rapporto con la Lega. Non possiamo più abdicare ai nostri principi. Deve emergere prima di tutto la nostra identità che in questi anni è rimasta schiacciata sulla loro per rispetto della coalizione. Ci siamo troppo appiattiti. E lo dico da capogruppo che ha dovuto ingoiare tanti bocconi amari per una lealtà che non è mai venuta meno verso la coalizione.

articolo non firmato, Bergamo Sera, 13 giugno 2014

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